Piano montano

Vegetazione delle rupi

L’ambiente di rupe è poco diffuso nel Plis Valle del Torrente Cosia, dato che le montagne sono tutte poco elevate e sono state dunque soggette all’erosione glaciale che le ha arrotondate quasi completamente. Si tratta di rupi calcaree pressoché verticali, costituite da maiolica selcifera e da rosso ammonitico. Possiamo distinguere due differenti tipologie di vegetazione in funzione dell’esposizione. Nelle rupi esposte a sud prevalgono specie nettamente aridofile, quali il carpino nero (Ostrya carpinifolia), il fico (Ficus carica), la piccola ginestra Coronilla emerus e Laserpitium siler. Nelle rupi esposte a nord vegetano invece specie legate ad ambienti più freschi ed umidi, quali l’olmo montano (Ulmus glabra) e la lingua cervina (Phyllitis scolopendrium). In entrambi gli ambienti si trovano inoltre specie tipiche degli ambienti rupicoli, quali la piccola felce Asplenium trichomanes, la violaciocca (Erysimum virgatum Roth) ed Arabis turrita.

Prati da sfalcio

I prati da sfalcio slono vegetazioni erbacee che si trovano al di sotto del limite degli alberi e, pertanto, sono state impostate artificialmente, anche se in tempi antichi. Rari faggi isolati ci testimoniano quale doveva essere la vegetazione forestale che ricopriva le colme del Boletto e del Bolettone. I prati in questione sono stati gestiti, probabilmente fin dal Medioevo, con regolari cicli di taglio e concimazione per assicurare il cibo invernale al bestiame e rappresentano oggi un bell’esempio di prati pingui di monte. Numerosi sono i fiori che punteggiano i prati durante le varie stagioni.

La copertura erbacea è pari alla totalità della superficie, ad esclusione di qualche masso affiorante, ed è principalmente rappresentata dai grossi cespi di Molinia arundinacea, che sovente prendono fuoco al termine della stagione invernale, e da specie legate all’aridità di questi versanti, quali Bromus erectus, Festuca rubra e Calamagrostis varia. Nella prima primavera si hanno fioriture di crochi (Crocus albiflorus), muscari e soldanelle, mentre durante la stagione estiva possiamo ammirare la margherita maggiore (Chrysanthemum leucanthemum), numerose campanule (Campanula scheuchzeri, Campanula glomerata, Campanula spicata, Campanula barbata), le vedovelle (Knautia sp.), i gigli selvatici (il rosso Lilium bulbiferum e il rosa Lilium marthagon), l’asfodelo di monte (Asphodelus albus) e la rara Gentiana purpurea. La presenza di essenze aridofile come Luzula campestris, la carlina (Carlina acaulis) ed il fiordaliso di Trionfetti (Centaurea triumfetti) sottolineano ulteriormente che i prati descritti sono caratterizzati da un certo grado di aridità, riscontrabile specialmente nella stagione invernale per la mancanza di precipitazioni ed in quella estiva per la presenza di substrati rocciosi molto fratturati con elevata capacità drenante.

Boscaglie pioniere di betulla e nocciolo

Si tratta di boschi molto aperti costituiti da betulle (Betula pendula) e noccioli (Corylus avellana) che colonizzano le praterie non più sfalciate. Queste vegetazioni pioniere che stanno aprendo la strada a futuri boschi di faggio, non hanno un sottobosco tipico in quanto gli alberi si sviluppano su una vegetazione erbacea già strutturata senza riuscire per ora ad influire sui parametri ecologici.

Queste aree di transizione sono spesso caratterizzate da una grande abbondanza della felce aquilina (Pteridium aquilinum), legata ai frequenti incendi che colpiscono le boscaglie. Gli incendi si possono propagare facilmente per via dell’abbondante accumulo di paglia secca prodotta dai cespi di Molinia arundinacea e Calamagrostis varia, che non vengono mai sfalciate.

Boschi freschi di tiglio ed acero di monte

I boschi freschi di tiglio ed acero di monte sono boschi ben strutturati, molto ombrosi e freschi. Si tratta di vegetazioni legate ai profondi solchi vallivi che sono raggiunti dal sole per poche ore al giorno, inoltre la presenza del torrente contribuisce a mantenere fresco e umido l’ambiente. Le specie arboree dominanti sono il tiglio (Tilia platyphyllos) e l’acero di monte (Acer pseudoplatanus), ma compare abbondante anche il frassino maggiore (Fraxinus excelsior), indice di suoli freschi ed umidi, ma di boschi poco aperti. Ciò sta a ricordare la gestione di questo tipo di boschi protrattasi fino a pochi decenni fa, quando i cicli di taglio mantenevano continuamente giovani i boschi. La gestione umana ci è testimoniata anche dalla presenza, seppur saltuaria, del castagno, frammisto alla vegetazione sopra descritta.

Nella fascia arbustiva domina il nocciolo insieme al biancospino (Crataegus monogyna), al maggiociondolo (Laburnum anagyroides) ed alle forme arbustive di tiglio, acero di monte e frassino maggiore, insieme a grandi cespugli di agrifogli (Ilex aquifolium) sparsi nel sottobosco erbaceo, molto fitto, a tratti impenetrabile, e ricco di specie.

In primavera le abbondanti geofite nemorali colorano il sottobosco. Si possono incontrare i bucaneve (Galanthus nivalis), l’erba trinità (Hepatica nobilis), le anemoni (Anemone nemorosa), il dente di cane (Erythronium dens canis) e vari ellebori. Le essenze estive più abbondanti, tutte tipiche di ambienti freschi e ombrosi, sono Geranium nodosum, Prenanthes purpurea, Aruncus dioicus e Senecio nemorensis. È possibile incontrare anche fiori molto belli e vistosi, come quelli dell’aquilegia (Aquilegia vulgaris) e della campanella selvatica (Campanula trachelium).

Faggete

Sono i boschi di latifoglie del piano montano alto. Attualmente crescono in una fascia altitudinale compresa fra gli 800 ed i 1000 metri di quota, ma in passato arrivavano a coprire le cime delle montagne del Triangolo Lariano. La riduzione del faggio è stata causata dall’azione umana, che ha creato praterie di quota e ne ha sempre apprezzato la buona qualità del legname (sia da ardere che da spacco). Le faggete rimaste fino ad oggi si presentano abbastanza giovani e costituite da alberi grossomodo coevi. Possono essere governate sia a ceduo che a fustaia, sia in modo misto. Si tratta di boschi ombrosi, ma non chiusi completamente. In queste foreste il faggio dà l’impronta dominante alla fisionomia, ma trovano spazio anche altre essenze, quali il castagno e l’acero di monte, seppur in misura molto minore. Rare betulle indicano un’ancor maggiore apertura del bosco negli anni passati.

I suoli sono bruni, di spessore contenuto (qualche decina di centimetri) e con un’elevata percentuale di scheletro e sassi affioranti. Spesso si trovano nel suolo orizzonti ricchi di carboni e ceneri, che indicano una certa frequenza degli incendi, favoriti anche dagli abbondanti accumuli delle foglie di faggio nella lettiera. Le foglie venivano un tempo utilizzate come strame, ma ad oggi nessuno pratica più la loro raccolta. Alcune faggete presentano tracce di bruciatura sui tronchi lasciate dagli incendi più recenti e castagni “morti in piedi” bruciati dalle fiamme.

Lo strato arbustivo è generalmente poco sviluppato, ed è costituito da sporadici cespugli di agrifoglio (Ilex aquifolium). Anche lo strato erbaceo si presenta poco sviluppato e floristicamente piuttosto povero. Nei rilievi incontriamo i ciclamini (Cyclamen purpurascens), il mughetto (Convallaria majalis), il sigillo di Salomone (Polygonatum odoratum), l’erba trinità (Hepatica nobilis) e Cardamine heptaphylla.

La situazione cambia quando la faggeta attraversa un impluvio. In tal caso il numero delle specie erbacee, per una maggior disponibilità di acqua e di nutrienti minerali, aumenta migliorando anche dal punto di vista qualitativo. Oltre alle specie sopracitate incontriamo alcune essenze tipiche delle faggete fresche ed umide, quali Asperula taurina, Mercurialis perennis e Paris quadrifolia. Al faggio si affiancano inoltre tigli ed aceri tipici dei boschi descritti nel precedente paragrafo.

Nelle praterie soprastanti esposte a nord, un tempo foreste di faggio, si possono infatti osservare specie erbacee tipiche della faggeta (quali Maianthemum bifolium e Polygonatum verticillatum) che vegetano grazie alle condizioni ecologiche ideali pur in assenza del faggio stesso.

Boschi acidofili di castagno e pino silvestre

I boschi acidofili sono foreste ampiamente diffuse sulle pendici meridionali del Triangolo Lariano. Il castagno e il pino silvestre sono piante la cui attuale diffusione è stata influenzata dall’azione dell’uomo. Sono alberi che non si sviluppano su suoli esclusivamente alcalini ma tendono a crearsi un ambiente adatto alla loro sopravvivenza acidificando lo strato superficiale del suolo. La piantumazione di castagneti è sempre stata incentivata dalle popolazioni rurali in quanto fonte di alimentazione e di legname di buona qualità, mentre il pino silvestre è stato notevolmente utilizzato nel corso del ‘900 nell’ambito delle politiche di riforestazione, in quanto presenta elevata velocità di crescita, ottime percentuali di attecchimento e buona qualità del legname. Spesso al di sotto della lettiera incontriamo un suolo costituito da un orizzonte organico molto acido dello spessore limitato di una decina di centimetri ed un orizzonte più profondo costituito dalla roccia madre calcarea sbriciolata.

Lo strato arbustivo ed il sottobosco erbaceo di questa tipologia vegetazionale variano in funzione delle condizioni di gestione da parte dell’uomo. In generale possiamo riconoscere la presenza di Ilex aquifolium (agrifoglio), e di Acer pseudoplatanus (acero di monte) ai quali, nelle foreste mantenute pulite e decespugliate, si affiancano arbusti di rovere (Quercus petraea), di sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia) e di castagno in rinnovamento. Lo strato erbaceo risulta invece costituito da specie nettamente acidofile, dato che le essenze hanno radici perlopiù superficiali. Troviamo abbondanti mirtilli (Vaccinium myrtillus) e felci aquiline (Pteridium aquilinum) accanto ad altre specie rappresentative come Luzula nivea, Hieracium sylvaticum e Festuca tenuifolia.

Il sottobosco dei castagneti abbandonati e dunque non decespugliati si presenta invece molto più povero, con la sola presenza del mirtillo e di abbondantissimi rovi che impediscono la crescita delle essenze erbacee più tipiche. In generale non si riscontrano specie caratteristiche di particolari associazioni, ma solo specie ad ampia diffusione legate ad un singolo fattore ecologico (acidità). Ciò è a testimonianza del fatto che questi boschi sono stati molto gestiti dall’uomo e rappresentano l’impoverimento dei querceti a rovere e roverella che originariamente dovevano occupare queste pendici.